Mkutano Askofu wa Iringa … 18 ottobre

Stefano Manservisi

Quello di oggi dovrebbe essere l’incontro più importante di questo viaggio dopo quello alla Nazareth House di Dar con il Vescovo di Iringa.

Colazione alle otto e ci presentiamo puntuali alle 9 in vescovado, come sempre ci accoglie padre Wissa che ci fa accomodare nella sala per le riunioni dove ci aspetta il vicario. Mentre aspettiamo che arrivino tutte e persone invitate all’incontro Carlo si fa spiegare dal vicario la “genealogia” della diocesi di Iringa dalla sua fondazione alla fine dell’800 ad oggi.

Quando tutti sono arrivati, il vicario apre l’incontro con un saluto e l’invito a presentarsi, attorno al tavolo siamo in 10. Dopo le presentazioni Luciano da inizio ai lavori.

L’incontro dura tre ora e si tiene in tre lingue: kiswahili, inglese ed italiano e anche per questo risulterà piuttosto impegnativo ma decisamente proficuo e costruttivo.

Abbiamo affrontato temi fondamentali per il futuro del progetto idroelettrico, con l’unico comune scopo di realizzare un impinto che permetta di innescare e sostenere lo sviluppo delle popolazioni delle nostre montagne, in autosufficienza economica e sempre salvaguardando la caratteristica “non profit”.

Alle 11:30 circa Carlo ci lascia per andare a trovare gli amici di Nyumba Ali. Una associazione che si occupa di riabilitare e sostenere i bambini disabili. Noi proseguiamo ancora un’altra oretta poi il vicario conclude i lavori invitandoci a pranzo assieme a loro. Durante il pranzo abbiamo il modo di constatare la reciproca soddisfazione per l’incontro che segna l’inizio di un nuovo cammino insieme tra SCSFong e la Diocesi di Iringa.

Dopo pranzo abbiamo in altro appuntamento con l’ingegnere che dovrà occuparsi della perimetrazione delle aree da acquisire per il nostro progetto sia a monte che a valle dell’impianto.

Conclusi gli incontri tecnici in sede chiedo a p. Peter se ci può accompagnare allo sportello bancario per valutare la possibilità di aprire un canale diretto tra Bologna e iringa. Purtroppo per poter aprire un account come o.n.g. Occorre la registrazione in Tanzania e anche per aprirne uno personale occorre un permesso di soggiorno temporaneo.

Tutto sommato, considerando la frequenza dei viaggi in questi ultimi anni ed il costo dei visti, potrebbe essere utile dotare due persone di permesso temporaneo e aprire un account. Rimaniamo d’accordo con p. Peter che mi fa sapere cosa occorre e quali costi ha una operazione del genere.

A questo punto passiamo a salutare anche noi gli amici di Nyumba Ali che stanno facendo veramente un grande lavoro con questi bambini che non godono di una sorte migliore di quelli che ho conosciuto a Tabora, anzi credo che siano molto più impegnativi, vederli giocare nella palestra di riabilitazione, come al solito mi crea emozioni contrastanti e difficilmente descrivibili a parole … ci fermiamo per quattro chiacchiere poi li liberiamo e assieme a Carlo andiamo a fare qualche acquisto alla associazione Neema Krafts e al mercatino Masahi.

Neema Krafts è un’altra associazione che si occupa della riabilitazione di persone disabili ed è organizzata con un laboratorio attrezzato per attività artigianali ed un bel negozio impostato analogamente a quelli del mercato equo e solidale che conosciamo in Italia e a Bologna, l’organizzazione è sostenuta dalla Diocesi Anglicana di Ruaha.

Il mercatino Masahi invece è un piccolo mercatino artigianale dove si possono trovare oggetti di artigianato locale e Masahi, qui incontriamo ancora uno dei due ragazzi che fermarono Carlo qualche giorno fa mentre aspettavamo Mario vicino al mercato e la mamma Masahi che ci presentò Peter anni fa e che è diventata la nostra fornitrice ufficiale di collane e ciondoli, trovo anche qualche altro oggetto e un paio di disegni a colori, in tinga tinga e un masahi.

Ormai è ora di rientrare, salutiamo Peter e andiamo a prepararci per la cena.

Non è ben chiaro con quale criterio la sala per la cena sia una volta quella superiore e una volta quella inferiore nonostante sia apparecchiata quell’altra, comunque non fa differenza, scendiamo. La sala grande, è ricavata dalla copertura e dalla chiusura con grani finestrone scorrevoli (attraverso le quali si accede) di un grande spazio che era evidentemente stato pensato come aperto, la sala ha poi uno spazio più raccolto che ospita il ristorante … siamo solo noi … e siccome la luce della zona ristorante non si accende e a quanto pare non si aggiusta, ceniamo nella penombra.

Dopo cena in camera a preparare le valige, domani lasceremo Iringa per Morogoro sulla via del ritorno.

I volontari di Nyumba Ali

Carlo Lesi

Oggi sosta ad Iringa. Ho avuto modo di rivedere Bruna e Lucio che da 4 anni vivono qui dopo avere lasciato Bologna ed hanno accolto in casa tre ragazze con handicap motorio e/o psichico. Hanno poi costruito, affianco la casa, una palestrina di riabilitazione per bambini con esiti di paralisi cerebrale. La loro associazione si chiama Nyumba ali ( Casa con le ali) e non ci sono parole per esprimere la nostra gratitudine mista a stupore di fronte a scelte di vita così radicali ed utili. Non fanno notizia ma lasciano un segno – quanto meno una memoria – in chi ne viene a contatto. Assieme a loro ho incontrato quattro ragazzi italiani con meno di trenta anni ciascuno che a vario titolo danno una mano: due volontari civili, una laureanda come logopedista, una maestra di sostegno per ragazzi con handicap. Tutti qui per tempi diversi, ma animati dal desiderio di venire a contatto con simile particolare iniziativa. Anche formativa sia sul piano umano che professionale. Un paio di loro di pomeriggio si reca nelle abitazioni dei bambini per valutare come stanno e soprattutto se si alimentano. Le porte si sono aperte perché i nostri amici hanno istituito frequenti contatti con le madri creando fiducia nel lavoro svolto. I padri latitano. Da queste parti la regola è un pasto al giorno: polenta e fagioli, riso e legumi. Carne e pesce rari per motivi economici.

Dal che si comprende la frequente malnutrizione che affligge i piccoli: ne ho visti un paio con il pancino gonfio. Il che complica la loro malattia.

Ovvio che questi volontari sono ben tutelati dal punto di vista umano e delle attività che svolgono, ma il solo pensiero di lasciare la nazione di origine, venire in un altro continente molto diverso da quello di origine e vivere accanto a bambini con gravi disabilità è encomiabile a dir poco. Convivere con banali disagi: l’improvvisa mancanza di acqua e/o di luce. Ad esempio in questo momento sto scrivendo nel buio della mia camera per la scomparsa della luce. Stamattina mancava l’acqua. Chi svolge servizio civile si ferma un anno, gli altri per periodi inferiori. Allora va detto a chiare lettere che esiste ancora una gioventù non fannullona e non “bambocciona” che decide di spendere senza enfasi parte della propria vita al servizio di chi la vita, per vie imperscrutabili, ha reso meno fortunata della loro. Anche su questo punto c’è da riflettere: spesso i portatori di handicap sopperiscono con profonda sensibilità umana ed affetto alle carenze fisiche, psichiche, intellettive. Sembra che abbiano sviluppata – con un misterioso meccanismo di compensazione – la parte del loro essere non toccata dalla malattia. L’arricchimento- seppur faticoso – diventa reciproco fra loro e chi hanno a fianco. E’ proprio il caso di dire che “ chi trova un volontario trova un tesoro.”. 

Ruaha National Park … 17 ottobre

Stefano Manservisi

Un’altra levataccia (alle 4:45) me se non altro questa volta non è per andare a prendere un aereo ma per andare al Ruaha National Park.

Dopo tanto galoppare (in 6 giorni abbiamo girato 4 angoli della Tanzania: Dar, Mwanza, Tabora e Iringa) alla fine siamo riusciti a ritagliarci una giornata quasi intera per noi.

Viaggiando in Tanzania, non è che ci si debba aspettare di affrontare pericoli o incognite avventurose, finche tutto va per il verso giusto “apana problem” nessun problema, però non bisogna ma dimenticare che non siamo a casa nostra e che se capita qualche inconveniente non sempre le cose si possono risolvere con una telefonata. Quindi in questi nostri viaggi intensi e pieni di appuntamenti e incontri è necessario avere un certo margine di tempo e sapere che i programmi si fanno per rifarli. Così ormai esauriti la maggior parte degli impegni ed essendo tutto andato sinora per il meglio possiamo attingere un poco di tempo da quei margini che mi ero tenuto.

Alle 8 siamo ad Iringa e dopo avere fatto il pieno in una delle nostre usuali stazioni di rifornimento entriamo in vescovado per incontrare Luciano e Peter che ci accompagneranno al Ruaha National Park., mentre Mario con i nostri due autisti e il Toyota più vecchio, resteranno a Iringa per sbrigare alcune questioni e passare in officina. Mario è già stato più volte al Ruaha e certamente si diverte di più a girare per Iringa dove credo che ormai tutti lo conoscano.

Dopo una breve colazione offertaci nella sala da prenzo, sempre pronta e imbandita per ogni evenienza a qualsiasi ora, Luciano mi dice che non potrà accompagniarci perchè deve restare in sede per preparare assieme agli altri invitati all’incontro di domattina l’agenda di lavoro (!).

Questa mattina avrò anche l’occasione finamente di guidare io il Toyota per le strade di Iringa perchè Peter, prima di accompagnarci, deve portare una macchina della Diocesi al RUCO (Ruaha University College), in pratica l’Università Cattolica di Iringa, un’altra istituzione voluta e sostenuta dalla diocesi locale che ha grande sensibilità e molte attività nel campo dell’istruzione e della formazione.

Lasciamo Iringa verso le 10 e finalmente ci dirigiamo verso il parco. Lasciati i sobborghi ad ovest della citta, dove nuovi quartieri si stanno sviluppando senza una chiara ed efficace pianificazione e in evidente carenza delle infrastrutture minime di urbanizzazione (niente rete fognaria, solo l’indicazione dell’obbligo di dotarsi di fossa biologica, senza poi preoccuprsi di dove e come queste scarichino a loro volta, niente strade, distribuzione elettrica caotica e acquedotto insufficiente) imbocchiamo la strada che porta al bivio per la missione di Tosamaganga dove si trova anche il St. John of the Cross Hosptal. L’asfalto finisce al bivio per Tosamaganga, di qui saranno altri circa 120 km di strada bianca fino all’ingresso del parco. Subito dopo la fine dell’asfalto e fino a che si incontrano abitati e abitanti incrociamo una sequenza di chiesette bianche, Peter ci dice che sono chiese Ortodosse, realizzate non molti anni fa con fondi provenienti dalla Grecia ma che non sembrano avere riscosso particolare seguito.

Padre Peter ci spiega come interventi di questo tipo non sono rari in Tanzania e ci porta l’esempio della serie di piccole moschee, tutte simili e costruite qualche anno prima con fondi arabi. Peter ci spiega che si tratta, secondo il suo punto di vista,di interventi di puro proselitismo, infatti si tratta sempre di interventi realizzati lungo le strade principali, dove è più facile essere visti de è più economico costruire e meno impegnativo gestire, ma anche dove in realtà c’è meno necessità, in quanto insediati dove già ci sono attività e commercio, all’interno lontani dalle direttrici principali è più faticoso difficoltoso intervenire; ci dice anche che spesso poi se persone o familie in difficolttà si rivolgono a queste strutture, la possibilità di ottenere qualche aiuto è legata al rinnegare la propria fede per abbracciare le loro.

Una volta superati gli ultimi villaggi, la discesa dall’altopiano di Iringa alla piana del Ruaha dura decine di chilometri e percorrendo la strada sterrata che taglia una infinita foresta secca e disabitata è priva di orizzonte, sembra una infinita discesa verso il mare indefinitamente lontano.

Arriviamo al gate di ingresso al parco: Mzngu 20$ local 1$ … mi pare una buona idea chissà se è esportabile.

Comunque appena entrati, proprio al ponte per attraversare il fiume Ruaha, il primo spettacolo: ippopotami, coccodrilli e aironi … bellissimo! Dopo la prima raffica di fotografie proseguiamo fino al Park HQ dove carichiamo (per 16000 Tsh) la nostra guida alla quale chiediamo subito se si riescono a vedere i leoni. Purtroppo l’orario non ci è propizio ma ci assicura che farà il possibile. Mentre siamo alla ricerca dei leoni incontriamo una piccola mandria di zebre con anche i piccoli, poi gazzelle, impala, gnu, bufali, babbuini e altre scimmie, pernici, struzzi, uccellini dai colori vavaci impossibili da fotografare al volo, e uccellini dal becco rosso tipici del Ruaha …e alla fine quando ormai stavamo per rinunciare a cercarli … ecco i leoni. Non molto vicini … anzi piuttosto lontanucci, sulla riva opposta di un fiume secco , ma comunque abbastanza vicini da essere distinguibili e fotografabili, e subito dopo … la pattuglia della jungla, che per chi si ricorda “il libro della jungla” è composta da elefanti in buon ordine che marciano in fila indiana sotto la guida del loro capo. Il parco del Ruaha in questa stagione è secco, ma pur sempre pinteggiato da una incrdibile quantità di differenti alberi verdi che spiccano in mezzo ad un mare di alberi secchi ed arbusti.

Sono ormai passate le quattro e quando la guida ci chiede se vogliamo continuare la ricerca dei leoni dietro la montagna, a malinquore dobbiamo declinare, perchè è già ora di rintrare. Uscendo dal parco imbocchiamo un itinerario parallelo ma che ci dice Peter essere più breve di quello fatto all’andata anche se leggermente più disagevole.

Rientriamo nelle camere, dopo avere lasciato Peter in vescovado, alle 16:30, giusto il tempo di farsi una doccia per toglersi di dosso la polvere dei chilometri percorsi e i nostri amici, Peter, Luciano e Isàia vengono a prederci per portarci a cena in un bel ristorantino indiano di cui ignoravamo l’esistenza.

Dopo cena e dopo esserci accordati per l’incontro di domattina rientrimo in camera. Mi bruciano gli occhi per la luce, la polvere, il sonno, ma è stata veramente una bella giornata.

L’impassibile eleganza della giraffa

Carlo Lesi

In ogni società che si rispetti ciascuno rappresenta un aspetto della vita, composta di tanti tasselli. Ci pensavo oggi mentre cercavamo il leone al termine del nostro safari all’interno del Ruaha National Park. E’ il nucleo di un vasto ecosistema incontaminato che si estende per circa 40.000 Kmq ed è il secondo parco in ordine di grandezza di questa terra contenendo 12.000 esemplari di animali oltre a 400 specie di uccelli.

Lungo la parte orientale del parco scorre il Great Ruaha River che ospita ippopotami e coccodrilli. Il fascino del parco consiste anche dall’essere poco battuto dai turisti per cui è visitabile in assoluta tranquillità. Necessitano tre-quattro giorni per percorrerlo tutto tanta è la sua ampiezza.

Stavamo cercando il leone che non si faceva trovare. Dispiaceva andarcene senza averlo visto. Abbiamo girato e rigirato per lungo tempo a vuoto lungo le piste del parco sotto l’occhio vigile della guida. D’altronde i capi si devono far desiderare!. Finalmente lo abbiamo avvistato da lontano accovacciato sul greto del letto di un fiume asciutto in compagnia della leonessa all’ombra di un albero.. Pareva stanco e sazio. Voleva riposare. In quel momento era molto caldo e tutti gli animali per istinto cercavano l’ombra.

Così se il leone “ simba” è il re della foresta per la sua maestosità e le sua capacità predatorie, se il bisonte, il rinoceronte ed il bufalo rappresentano la forza bruta, l’elefante la potenza, le gazzelle l’agilità, le zebre la bizzarria dei colori della pelle, il coccodrillo la facile capacità di mimetizzarsi per colpire a tradimento ecc , la giraffa si distingue per la sua eleganza nonostante pesi 450-1200 Kg la femmina e 1800-2000 Kg il maschio. Con i suoi 5 metri di altezza raggiunge con facilità i rami più alti degli alberi e nel contempo domina la scena circostante. Incontra difficoltà ad abbassarsi per abbeverarsi. Nonostante il suo atteggiamento indifferente, è in grado di battere in velocità qualsiasi predatore. Ce ne siamo accorti oggi quando ne abbiamo vista una che cambiava strada con rapidità alla vista del leone. Dicevo della sua eleganza. Anche se a prima vista può apparire goffa causa il collo lungo, simile a quello immortalato dalle donne di Modigliani, che collega la piccola testa in cima con un corpo che ricorda quello di un impala, il suo incedere lento e guardingo denota stile e padronanza di sé. Pare una esperta modella che sfila sulla passerella in un defilè di moda. Anche quando si nutre delle foglie degli alberi assume un atteggiamento compassato. La maculatura della pelle, più o meno scura a seconda dell’età e della razza, le dona un tocco di signorilità. Pare rivestita di una pelliccia. In un mondo come quello animale ( ma non solo) in cui vige la legge del più forte un po’ di stile non guasta. E’ anche vanitosa: si lascia fotografare con facilità mettendosi in posa per restarci tutto il tempo che necessita al fotografo per coglierne l’impassibile bellezza.

Casa Monari … 16 ottobre

Stefano Manservisi

La notte a Casa Monari qui a Maguta (o Manguta come sostiene Salvadòr) è passata tranquilla e riposante, punteggiata soltanto da qualche scroscio di pioggia. Alle 8 facciamo colazione poi partiamo per fare un giro al cantiere della centrale prendendo la strada che sale all’abitato di Madege per poi ridiscendere fino al ponte nei pressi del villaggio di Lukosi e che passando a fianco delle scuole secondarie, prosegue svoltando a destra fino allo spiazzo dove sono stati montati un prefabbricato per uffici un capannone metallico dove sono depositati i materiali per la realizzazione del fabbricato della centrale e che assieme a due container di materiali costituiscono il cantiere a valle dell’impianto.

Qui troviamo già assemblata la enorme biforcazione a Y che suddividerà il flusso di acqua proveniente dal salto per alimentare le due turbine previste alla fine della seconda fase del progetto (per ora la prima fase prevede la realizzazione di una sola “linea d’asse” turbina – alternatore).

L’emozione per tutto quello che abbiamo visto nei giorni scorsi e qui su queste montagne, che ormai sentiamo un poco nostre, è intensa e il presidente assieme a noi si lascia trasportare da un momento di commozione, pensando a coloro che hanno sognato e voluto questo progetto e che non hanno potuto essere qui per vederne i progressi in questi ultimi 5 anni.

Con la pioggia di questa notte non è consigliabile rientrare per la ripida strada diretta che Marco & soci hanno realizzato per mettere in comunicazione il cantiere superiore con quello a valle.

Assieme a Carlo ripercorriamo a piedi un breve tratto la strada che abbiamo fatto prima fino ad arrivare in un punto dal quale si può avere un vista completa del “salto” e di tutto il cantiere a valle, poi risaliamo sul Toyota per rientrare facendoci lasciare qualche curva prima dell’ingresso di Casa Monari per immergerci almeno per qualche minuto in questo paesaggio stupendo.

Rientrando discutiamo su alcuni aspetti dell’incontro avuto giovedì scorso a Dar con il Vescovo e in vista dell’incontro di Martedì ad Iringa con le altre persone coinvolte dal Vescovo nella gestione dell’impianto di Madege.

La discussione continua animata anche durante e dopo il pranzo, i punti da chiarire e da definire, anche relativamente alla nostra posizione oltre che relativamente ai rapporti bilaterali sono molti e anche delicati, ma ormai inderogabili visto che il momento del passaggio dalla fase realizzativa a quella gestionale si sta avvicinando sempre di più man mano che i lavori procedono.

Dopo una breve pausa, verso sera riprendiamo la programmazione delle prossime due giornate per le quali avendo fatto e disfatto il calendario almeno due volte alla fine siamo riusciti a ritagliarci una veloce escursione al parco del Ruaha. Anche perchè martedì sarà un’altra giornata piena di impegni.

La domenica andando alla messa

Carlo Lesi

Oggi domenica giorno di riposo. Siamo stati stamattina nei dintorni di Maguta per vedere lo stato di avanzamento dei lavori laddove la condotta forzata compie il balzo finale prima di arrivare a valle per incontrare la turbina che trasforma l’energia idrica in quella elettrica. Lavoro immane compiuto a regola d’arte..

Maguta, dove ha sede Casa Monari ed il cantiere, è una frazione di Madege: è circondata di colline verdeggianti in parte coltivate con cura in parte coperte di boschi. A volte i boschi sono così fitti e gli alberi così alti che pare di essere nella foresta amazzonica. Ovvio che occorre un pizzico di sana fantasia da parte di chi scrive. Di certo è una zona piovosa. Un paesaggio riposante e surreale anche per la presenza di capanne di fango e paglia che ancora si intravvedono ed i bambini scalzi, coperti di polvere e di stracci che si incontrano. In cambio sorridono e ricambiano il saluto educatamente con la mano. Occhi vivaci e sorriso a tutto tondo. Nessun moralismo, ma ogni tanto fa bene ripensarci per provare a dare il giusto valore ai fatti della nostra vita quotidiana “occidentale”. Per immergerci meglio in questa realtà con Stefano abbiamo camminato a piedi sulle strade fangose. Stanotte è piovuto. Oggi cielo plumbeo con apertura pomeridiana al sereno. Nel nostro giro abbiamo incontrato frotte di donne e bambini; pochi gli uomini. Non è facile dare l’età alle donne: sembrano tutte anziane con visi rugosi e lineamenti del volto scolpiti testimonianza della vita faticosa e di stenti che conducono. Vi contribuiscono anche le numerose gravidanze. Mi hanno riferito anche di maltrattamenti da parte degli uomini ubriachi Non sono mai entrato nelle loro case ma a chi è stato loro concesso racconta di interni miseri composti da stuoie per dormire, cavalletti di legno per appoggiare i vestiti, un po’ di legna al centro per accendere il fuoco. Wc open space. A chi scrive piacerebbe conoscere lo swaili ed avere la possibilità di parlare con loro per conoscerne usi e costumi. Anche entrare nelle loro case. Non per curiosità ma per capire. Ritengo che anche queste persone abbiano insegnamenti e saggezza di vita da offrirci. Esempio apparentemente banale sono i vestiti delle donne incontrate oggi: di colori sgargianti, a tinte forti con giochi, disegni ed intrecci di diversi colori che colpiscono a prima vista. Ravvivano l’animo di chi li incrocia. In questo modo manifestano una dignità umana che contrasta con le fatiche che sopportano ogni giorno. Dove stavano andando? A Messa. Con i loro vestiti allegri forse volevano sottolineare l’importanza dell’evento. Questo non è già un insegnamento di vita per noi?

La strada maestra di vita

Carlo Lesi

Prima di salire a Maguta ci siamo fermati ad Iringa nelle vicinanze del mercato. Mentre aspettavamo che aprisse l’emporio per la spesa si sono avvicinati due ragazzi che hanno salutato Mario che conoscono da anni. Mario ad Iringa è di casa sia per gli acquisti che compie sia per la manutenzione che compie a favore dei fuoristrada della ONG. Il suo carattere aperto lo porta a diventare con facilità rafiki ( amico in swaili) di molti. Edmund e Julius ci hanno salutato con il tipico calore del popolo tanzaniano. Sorrisi, strette di mano, l’immancabile karibu ( benvenuto) battute che si concludono sempre con una risata. E’ un popolo che possiede ancora il senso ed il sapore della risata. Con occhi vivaci e sorriso smagliante hanno pian piano tolto dalle borse, che portavano a tracolla, alcuni oggetti che hanno posto per terra: piccoli animali e sopramobili in legno, stuoie di varia grandezza, disponibili i due ragazzi a sconti favolosi!!?. Un negozio inventato lì per lì sul marciapiede all’aria aperta: open space diremmo noi per darci un tono. Non ci vuole molto: oggetti da proporre, un abile venditore, un acquirente accalappiato ed il gioco è fatto. Inizia la contrattazione. Si da il caso che l’acquirente non fosse interessato all’acquisto per cui il colloquio è divagato su altri argomenti favorito dalla buona conoscenza dell’inglese di uno dei due. Inglese imparato on the road a contatto con i turisti che passano da Iringa fra giugno e settembre. Alla faccia di tutte le scuole costose in cui si insegna inglese! Hanno subito soggiunto che ci sono anche molti volontari ma non hanno soldi per cui comperano poco o nulla. I nostri amici però si ingegnano con altre fonti di guadagno per mangiare e vivere loro e la famiglia che hanno sulle spalle. Sono entrambi padri uno di una bimba di un anno e l’altro di due bimbi di quattro e due anni: una sola è la moglie. I bambini devono crescere robusti hanno replicato alle domande del mancato acquirente. Il ragazzo che sapeva l’inglese si è lanciato a raccontare di vendere la sua mercanzia anche in un negozio che possiede fuori città aggiungendo che per arrotondare gli affari lavora la terra, come anche il suo amico altrettanto furbo ma penalizzato dal masticare poco l’inglese. Visto che l’acquirente tergiversava gli hanno detto chiaro e tondo – sempre con un ironico sorriso sulle labbra – che se non acquistava nulla non avevano soldi per nutrire i figli che così si sarebbero ammalati. Poiché il possibile compratore ha un cuore ha dato loro appuntamento on the road la prossima settimana quando ripasserà da Iringa. Non sono necessarie agende per vederlo. Il filo sottile della domanda e dell’offerta porterà ad incontrarli. Ed il futuro acquirente mentre saliva sul Toyota che lo avrebbe portato a Maguta ha pensato che è la strada ad essere maestra di vita e non la storia come ci è stato insegnato sui banchi di scuola.

La Condotta … 15 ottobre, sabato

Stefano Manservisi

Dopo pranzo sistemiamo le nostre cose nelle camere e con Carlo tentiamo di risolvere i suoi problemi di connessione che lo hanno isolato dal mondo impedendogli di accedere a Internet. Alla fine riusciamo a risolvere in qualche modo (piuttosto empiricamente), mentre l’ineffabile Mario è già pronto sul Toyota per accompagnarci a vedere l’opera: la condotta forzata.

Scendiamo verso la diga e risaliamo fino alla passerella che la attraversa in tutta la lunghezza. Da qui si può avere una visione di insieme della di tutto il lavoro fatto: a valle dal vano che contiene la valvola a farfalla (in sostanza il “rubinetto” a monte della condotta) scende come un lungo serpentone, la condotta forzata che, adagiata sul ciglio destro (scendendo) della strada di servizio percorre i lieve discesa i primi 900 m di percorso fino ad immettersi nel tratto in caduta quasi verticale fino alla centrale elettrica. A monte si può (per ora) solo immaginare l’invaso che nascerà una volta che, chiusi gli scarichi di fondo della diga, l’acqua avrà allagato l’ansa del Lukosi fino a che il livello non avrà raggiunto la soglia tracimante dello sbarramento che permetterà, una volta riempito il bacino di mantenere invariato il percorso e la portata del Lukosi mantenendo inalterato il suggestivo aspetto delle cascate del Lukosi e delle successive placide anse a valle dello sbarramento. Devo dire che vedere dall’alto quell’enorme serpentone metallico dà grande soddisfazione e suscita una fortissima emozione ed ammirazione per coloro (provenienti dall’Italia o da queste montagne) che l’hanno pensata e realizzata. Ovviamente il pensiero corre anche alla visionaria lungimiranza del Prof. Monari che in un periodo nel qual non era certamente immaginabile l’attuale sviluppo della questione energetica sia locale che mondiale, seppe anticipare a dispetto di tanti pragmatismi limitati l’attuale possibilità di realizzare una opera che può realmente incidere sullo sviluppo locale di queste popolose montagne e che ora può avere anche reali opportunità di auto sostenersi economicamente allontanando lo spettro di avere realizzato una cattedrale nel deserto o comunque uno strumento che una volta lasciato ai suoi legittimi destinatari venga poi abbandonato per mancanza di risorse. Percorriamo quindi tutta la strada di servizio fino all’imponente giunto a “T” da cui parte il salto della condotta verso le turbine in basso e verso il pozzo piezometrico in altro e che si perde sopra la scarpata e si inoltra nella boscaglia sovrastante.

Rientriamo e telefoniamo subito agli artefici di questo miracolo: Marco, Mario, Giuseppe Annamaria e i saldatori che hanno veramente messo a segno un grande colpo per il nostro spirito rinfrancato nel vedere pressoché realizzata una delle parti più difficili ed incognite del nostro progetto.

Certo ci sono ancora molte cose da fare e non meno impegnative come la parte inferiore del salto verso la centrale e la realizzazione del basamento delle turbine e della centrale stessa e degli scarichi che ricondurranno al tranquillo corso del Lukosi le acque che hanno fatto girare le turbine per produrre energia elettrica per questi villaggi.

Cena con pastina nel brodo di verdura e qualche scatoletta. Poi ci dedichiamo ciascuno al proprio diario o al riordino delle proprie cose. Domattina colazione alle 8 e visita al cantiere inferiore.

Casa Monari … 15 ottobre

Stefano Manservisi

Incontriamo P. Wissa che stava uscendo piuttosto stupito di vederci li alle 9 del mattino quando lui pensava che dovessimo essere ancor a Morogoro.

L’accoglienza qui è sempre fraterna e sincera, è bello incontrare gli amici da queste parti, l’entusiasmo è sempre contagioso.

Scambiamo due chiacchiere di benvenuto e di veloce aggiornamento sull’incontro di Mercoledì con mons. Tarcisius e su quello che dovrà seguire martedì prossimo. Prima di salutarci proponiamo di spendere la mezza giornata recuperata in una escursione al parco del Ruaha nella giornata di lunedì. Ci aggiorneremo domani pomeriggio una volta che sia arrivato a Iringa anche P. Luciano.

Prima di salire a Maguta passiamo per il mercato di Iringa a recuperare Mario che sta facendo un poco di spesa per il breve soggiorno a Casa Monari a Maguta.

Lasciamo Iringa e iniziamo a salire sulle nostre montagne passando dall’abitato di Ipoigoro, poi Kilolo (sede della provincia) per poi passare da Kidabaga dove arriviamo nel pieno del variopinto mercato settimanale, pieno di gente e colori. Infine, dopo avere “scollinato” un paio di volte , arriviamo a Madege il capoluogo all’interno del cui territorio si estende il nostro impianto idroelettrico sul fiume Lukosi in località Manguta.

Arriviamo a Casa Monari giusto in tempo per il pranzo.

Come sempre arrivare qui è un po come arrivare a casa e come sempre, l’accoglienza delle ragazze Innocenthia e Tafrigia, dei meccanici, dei capi squadra e di William il capocantiere è degna di fratelli rientrati dopo un lungo viaggio.

Il tempo di sistemare i bagagli nelle camere che è già ora di pranzo. Taffy e Innocenthia hanno preparato degli ottimi maccheroni con un ottimo sugo all’amatriciana.

Sua maestà il Baobab

Carlo Lesi

Nella lunga e faticosa galoppata odierna il paesaggio più affascinante è quello che inizia dopo Mikuni quando si inizia la salita verso l’altopiano che porta ad Iringa. Salendo ci si accorge di essere circondati da montagne maestose che rimangono sullo sfondo. La natura si fa selvaggia tanto che non si osservano insediamenti umani. E’ il regno incontrastato del baobab che accompagna il fiume Piccolo Ruah, che ai piedi della vallata riceve come affluente il Lukosi il fiume della diga di Maguta. Il baobab lo si osserva anche oltre la vallata. Ha un nome simpatico, giocato sulla stessa consonante ripetuta tre volte e tre vocali. Potrebbe essere il nome di una pizza, di un gelato o di un frappé: pizza al baobab, gelato al baobab o se preferite frappè al baobab. E’ un nome dal sapore esotico. Il fusto in genere è grosso e largo per poi sfrangiarsi in numerosi rami bitorzoluti che si assottigliano un po’ alla volta per finire nel nulla. Scarse le foglie per evidenziare l’essenzialità e la nodosità del ramo. La dolce luce del tramonto stasera ne illuminava alcune parte conferendo loro un aspetto lattiginoso. L’ho sempre osservato come l’espressione della vita: nasce con molte speranze che vanno riducendosi con gli anni. Bitorzoli espressione delle difficoltà esistenziali, nodi quali immagini delle scelte da compiere. Lo si potrebbe definire l’albero della vita, vita che nelle zone del baobab deve essere grama: ho visto donne zappare e bambini governare lo scarso bestiame di cui è dotata una famiglia. Ho visto donne magre camminare ai bordi della strada con un cesto sul capo colmo di frutta ed il bambino fasciato sulla schiena. Ho osservato anche qualche uomo lavorare nei campi ma più spesso attorno ad un biliardo con la stecca in mano per colpire le boccette. Non una gran bella figura! Ha ragione chi ha affermato che l’ Africa si salverà grazie alle donne.